di Anna Rizzo
Le notti bianche è un racconto giovanile di Fëdor Dostoevskij, ma è soprattutto la storia di un incontro, la storia di un sognatore che vive per riflesso le vite degli altri e, attraverso le sue fantasticherie, così intense, arriva a scordare la propria vita, il mondo reale.
Possibile che l’abbia vista soltanto nelle sue seducenti visioni e che l’abbia soltanto sognata, questa passione? Possibile davvero che non abbiano trascorso, mano nella mano, tanti anni della propria vita, loro due da soli, dopo aver respinto lontano tutto il mondo e aver unito ciascuno il proprio mondo, la propria vita con la vita dell’altro?
San Pietroburgo, quattro notti e un mattino per raccontare la storia di un giovane e del suo incontro con Nasten’Ka, una donna che vive in una “gabbia di cristallo” sotto il controllo della madre, con il cuore spezzato dall’attesa del suo amore che non torna. Questa fanciulla diventa per lui un appiglio al mondo reale, un filo fragilissimo destinato a spezzarsi con la fine di questa breve frequentazione e con il ripiombare del protagonista nell’abisso delle sue fantasie.
Una storia dolce amara in cui noi lettori, spesso abituati a vivere più profondamente attraverso le pagine dei libri che nel mondo reale, non possiamo fare altro se non ritrovare un po’ di noi stessi nelle parole del sognatore:
Ma si puo’ essere felici vivendo in un’illusione? E le emozioni provate nel “vivere” un’illusione, sono forse meno reali?
Leopardi afferma che le illusioni e l’immaginazione sono gli strumenti che la natura ci dona per affrontare la realtà e renderla “sopportabile”.
Gli ultimi due anni che abbiamo passato sembrano dare credito a questa teoria: quando non potevamo uscire ci siamo un po’ tutti rifugiati nel nostro mondo interiore, cercando di evadere attraverso film, libri, serie tv. Ci siamo abituati a stare nel bozzolo che ci siamo costruiti e adesso che si è quasi tornati alla normalità il mondo reale un po’ ci spaventa.
Confrontandomi con i miei amici ci siamo resi conto delle profonde conseguenze che il covid ha avuto su di noi. Le nostre energie sociali si “esauriscono” prima, ci fa piacere passare tempo con gli altri, ma sembra che ogni minima interazione sociale ci “svuoti”.
Isolarsi diventa così facile che quasi non ce ne accorgiamo. Nella nostra bolla ci sentiamo protetti, tutto è sicuro e familiare, ma è abbastanza per essere felici?
Crediamo che le emozioni che film e libri ci fanno provare bastino a rimpiazzare quelle che dovremmo sentire sulla nostra pelle, in prima persona e non per riflesso. attraverso quelle di qualcun altro. Non ci accorgiamo di sprofondare in un vortice di apatia.
Ho letto in un articolo di uno studio secondo il quale chi piange molto guardando un film o una serie tv – le “illusioni” del nostro tempo – fatica a piangere per gli avvenimenti che avvengono nella sua vita reale, e questo perché è più semplice soffrire immedesimandosi in qualcuno di esterno, piuttosto che vivere il proprio dolore. Ci mettiamo nella condizione di sfogare le emozioni per la nostra vita reale attraverso quelle suscitate dalle storie di fantasia che guardiamo in tv.
Non è sbagliato cercare una via di fuga dalla realtà ogni tanto, ma non possiamo scappare dalla vita, essa richiede di essere vissuta.
Dobbiamo accettare la paura, uscire nel mondo e provare in prima persona tutte quelle emozioni che libri e film ci raccontano. Trovare la nostra Nanest’Ka che ci tiri fuori dal nostro mondo di fantasticherie dove tutto è perfetto, ma non reale, fosse anche solo per un attimo
Un intero attimo di beatitudine! È forse poco, anche se resta il solo in tutta la vita di un uomo?”.