di Anna Urban
In un’epoca lontana, un grande imperatore di nome Marco Aurelio governava sul vasto Impero romano. Fu un bravo imperatore e un appassionato di filosofia greca.
Un giorno mentre leggeva una pergamena che parlava della storia della filosofia, lesse di un libro scritto da Aristotele e, incuriosito, decise di mandare dei soldati a cercarlo. Il libro, infatti, era stato nascosto dai discepoli del filosofo per suo volere e la voce dell’esistenza di questo libro era rimasta solo orale. Quindi fu così che l’imperatore in segreto, perché aveva paura di avere dei rivali nella sua ricerca, incominciò ad incuriosirsi alla leggenda.
I soldati mandati per la spedizione del libro incominciarono a ispezionare le più grandi librerie greche del tempo. Il libro non si trovò, quindi provarono a spostarsi in Chalkidiki dove Aristotele nacque, chiesero a tutti gli abitanti della città, ma anche loro non conoscevano l’esistenza di questo mistico libro. Così per anni l’imperatore, che era ossessionato dal manoscritto, mandò tanti sudditi in Grecia a perlustrare ogni posto dove si potesse trovare un indizio su quell’oggetto. Nessuna traccia venne alla luce, perciò Marco un po’ disilluso e occupato anche dalle guerre dell’impero, decise di fermare tutte le spedizioni. Però promise una grande somma in denaro per chi sarebbe riuscito a compiere l’impresa.
Nel mentre, in una cittadina dell’odierna Macedonia, Giacomo, figlio di un contadino, stava aiutando il padre a lavorare i campi, loro vivevano in una piccola capanna a Eubea e lì trascorrevano una vita modesta. Giacomo aiutava dalla mattina alla sera il padre nei campi, ma nel profondo sognava di diventare un soldato e andare a combattere contro i germani, così da tornare a casa vittorioso e essere ricompensato con tanti soldi da non dover più far lavorare i suoi genitori. Peccato che questa fantasticheria non poteva essere realizzata a causa della sua altezza, infatti, era troppo basso per entrare nell’esercito e gli era stata negata questa opportunità che desiderava con ardore. Quindi, quando sentì dell’opportunità che Marco Aurelio offriva, decise di partire. Ovviamente i suoi genitori erano contrari a questa folle decisione, ma lui era stanco di quella condizione di vita e sperava che la ricompensa potesse sollevarlo dalla povertà. Incominciò cercando i discendenti degli apostoli del filosofo che erano stati quelli che avevano nascosto il libro, ma la sua ricerca portò solo a un fabbro che non era sorpreso della domanda già posta molte volte da altri cercatori, ma purtroppo lui non conosceva la risposta. Allora perlustrò le città dove l’antico filosofo visse durante la sua vita, ma anche lì il tesoro non c’era. Disperato provò l’ultima idea che gli venne in mente, si imbarcò su una nave e navigò per giorni fino ad Alessandria, in città si recò immediatamente nella grande biblioteca e setacciò ogni libro. Quando non trovò quello che cercava capì che erano già passati dieci lunghi anni e le speranze di trovare il manoscritto si erano perse, così tornò a casa.
Riprese una nave navigò fino in Grecia e da lì a piedi tornò in Macedonia. I genitori felicissimi di rivedere il figlio che per anni era stato lontano da casa e che era considerato disperso, organizzarono una festa in suo onore, anche se ci rimasero molto male sapendo che la ricerca che aveva occupato per così tanto tempo il figlio non aveva portato alcun frutto. Giacomo ritornò a lavorare i campi col padre e a condurre una vita povera. Come svago faceva lunghe passeggiate e raccontava le sue avventure ai bimbi della città. In quegli anni conobbe Michela una giovane donna che lo sposò e con cui ebbe tre figli.
Ormai da anni aveva dimenticato la storia del libro ed era completamente preso dal primogenito che era una peste. Infatti, il figlio non ascoltava mai le regole che il padre gli imponeva e, mentre lui lavorava i campi, il birbante era solito scavare profonde buche per divertimento. Così un giorno il figlio trovò nel terreno del padre un tesoro, era un libro molto vecchio che appena il padre prese in mano capì essere il libro di Aristotele. Subito Giacomo si mise in viaggio verso Roma per andare a riscuotere il suo ricco premio certo che quella fortuna fosse opera del fato. Arrivò nella capitale e chiese udienza all’Imperatore. Lo fecero aspettare una settimana poi quando si presentò al cospetto di Marco Aurelio e mostrò il dono che portava da così lontano, l’imperatore divenne molto felice e lo pagò abbondantemente. Il nostro caro protagonista con il cuore pieno di felicità si mise in viaggio per tornare da sua moglie e dai suoi figli finalmente sereno di dare loro agiatezza. Durante il tragitto mentre Giacomo fischiettava una canzone con il suo bottino stretto a sé, una banda di ladroni lo derubò e gli portarono via tutta la ricompensa. Dopo questa perdita Giacomo disperato si fermò per far riposare il cavallo e chiese aiuto a un vecchio lì accanto, questo dopo aver ascoltato la travagliata vicenda sorrise e disse:” Ragazzo sei stato sfortunato e la causa per cui hai lottato alla fine non ti ha ricompensato e penso che questo sia solo un grande scherzo degli dei visto che anche a loro piace scherzare”.
Così tornò a casa a mani vuote e visse gli ultimi suoi anni, anche se in povertà, con la sua amata moglie e i suoi figli che lo aiutarono nei campi e, che gli diedero molti nipoti.